Cosa può un corpo?

Avrei voluto scrivere un post sulla malattia. Su questi corpi che tutto d’un tratto decidono che qualcosa non va e sia come sia si mettono a stravolgere l’ordine delle cellule, degli atomi, a mangiare se stessi, come i corpi delle anoressiche fanno per volontà, ma senza volontà. Le metastasi si espandono e le si lascia estirpare, ponendo il proprio corpo la propria vita la propria carne sotto il verbo il potere il discorso medico. A volte i corpi non ce la fanno. Ai familiari non rimane che curarli, curarsi, stringersi nelle carni proprie e abbracciare le carni che se ne vanno, che si preparano a diventare terra e rientrare nel circolo degli infiniti mondi.

Ma.

Dio diventa corpo e la materia inerte si fa carne e sangue, attraverso un atto performativo, la parola e il gesto. E allora il corpo si avvicinava a dio nella sofferenza. Nella sofferenza del cilicio, del digiuno e della contemplazione. Nelle estasi si faceva l’amore con la divinità tutta. Nelle estasi si osservava divenire l’ostia carne. Gli spazi di libertà che i corpi si prendono sono a volte inaspettati nella loro imprevedibilità di fronte al potere.

Ma.

Questo potere che ci forma si somatizza in operazioni chirurgiche. Vogliamo essere più vicine a quello che pensiamo di avere dentro. Dio è dentro di te, ma ha sbagliato a plasmare l’argilla e allora andiamola a cambiare. Più tette, più culo, più labbra. Si finisce con l’essere altro, divenire donna, altro che Deleuze. O divenire uomo chissà. C’è una prima volta per tutto. Anche per toccare corpi trans. Anche per sorprendersi nel toccarli. Un massaggio collettivo, un’abbraccio a tante braccia, una sessualità che resiste.

La contrasessualità è una creazione artistica e noi siamo le artiste del punto G. La mappa del mio corpo si compone di milioni di dildo, tanti orifizi quanti sono i pori della mia pelle e potrei venire sfregandoti il collo con il naso, mentre mi penetri inaspettatamente un punto considerato impenetrabile. Stolto quello che un giorno mi disse “Si ma con l’incavo del braccio di sicuro non vengo”. Lo abbiamo confutato. Collettivamente, con la pelle, con le mani con la testa.

E in mezzo a tutti questi corpi, c’è il mio corpo. Il mio corpo che sono io, che reagisce, che  si immobilizza. Soma di tutte le semantiche che si sono sviluppate attorno alla mia vita, che perde il pelo ma non il vizio, che imbianca ad andare con gli imbiancati, la cui capacità riproduttiva esplode e si annulla di fronte allo stress. Un corpo plasmato dal discorso collettivo, dal movimento, nel senso del poco sport che faccio, dal movimento nel senso di quello dei movimenti che ha fallito e che me lo scrive addosso. Polmoni che hanno respirato CS, ma testa che non è stata ancora mai rotta da un manganello. Figa penetrata da troppe persone che non ci si sarebbero dovute avvicinare, ano lavorato da lingue mani peni dildi, ma soprattutto bocca che ha dovuto ingoiare troppe volte lo schifo prodotto da questa società, il fascismo, la violenza sessista, la molestia indiscreta che si ripropone per strada, a casa, nel centro sociale.

Il mio corpo, le mie braccia contengono inscritti in cicatrici, tatuaggi, piercing ma soprattutto malattie psicosomatiche. La storia che mi appartiene, che è un po’ quella di chi ho incontrato. Il mio corpo è il mio diario, la mia anima e la sola cosa che ho veramente, per quanto questo possesso sia precario.

A seguire, due poesie, che un giorno magari tradurrò anche.

Il testo è trascritto qua.

How to Make Love to a Trans Person

by Gabe Moses

Forget the images you’ve learned to attach

To words like cock and clit,

Chest and breasts.

Break those words open

Like a paramedic cracking ribs

To pump blood through a failing heart.

Push your hands inside.

Get them messy.

Scratch new definitions on the bones.

Get rid of the old words altogether.

Make up new words.

Call it a click or a ditto.

Call it the sound he makes

When you brush your hand against it through his jeans,

When you can hear his heart knocking on the back of his teeth

And every cell in his body is breathing.

Make the arch of her back a language

Name the hollows of each of her vertebrae

When they catch pools of sweat

Like rainwater in a row of paper cups

Align your teeth with this alphabet of her spine

So every word is weighted with the salt of her.

When you peel layers of clothing from his skin

Do not act as though you are changing dressings on a trauma patient

Even though it’s highly likely that you are.

Do not ask if she’s “had the surgery.”

Do not tell him that the needlepoint bruises on his thighs look like they hurt

If you are being offered a body

That has already been laid upon an altar of surgical steel

A sacrifice to whatever gods govern bodies

That come with some assembly required

Whatever you do,

Do not say that the carefully sculpted landscape

Bordered by rocky ridges of scar tissue

Looks almost natural.

If she offers you breastbone

Aching to carve soft fruit from its branches

Though there may be more tissue in the lining of her bra

Than the flesh that rises to meet itLet her ripen in your hands.

Imagine if she’d lost those swells to cancer,

Diabetes,

A car accident instead of an accident of genetics

Would you think of her as less a woman then?

Then think of her as no less one now.

If he offers you a thumb-sized sprout of muscle

Reaching toward you when you kiss him

Like it wants to go deep enough inside you

To scratch his name on the bottom of your heart

Hold it as if it can-

In your hand, in your mouth

Inside the nest of your pelvic bones.

Though his skin may hardly do more than brush yours,

You will feel him deeper than you think.

Realize that bodies are only a fraction of who we are

They’re just oddly-shaped vessels for hearts

And honestly, they can barely contain us

We strain at their seams with every breath we take

We are all pulse and sweat,

Tissue and nerve ending

We are programmed to grope and fumble until we get it right.

Bodies have been learning each other forever.

It’s what bodies do.

They are grab bags of parts

And half the fun is figuring out

All the different ways we can fit them together;

All the different uses for hipbones and hands,

Tongues and teeth;

All the ways to car-crash our bodies beautiful.

But we could never forget how to use our hearts

Even if we tried.

That’s the important part.

Don’t worry about the bodies.

They’ve got this.

 Immagini di Schiele e Del La Grace Volcano.

Si ringraziano le giornate veganqueer per aver dato spazio alla nostra contrasessualità e avermi fatto conoscere un po’ di parole e corpi.

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5 Responses to Cosa può un corpo?

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  3. Alle says:

    Ah sdolcinata! 😀

  4. retroguard1a says:

    non mi far fare la llorona va, che i commenti mi commuovono 😉

  5. lafra says:

    Ho letto il post e stanotte ti ho sognata: il tipico sogno in cui vuoi fare una cosa e interviene sempre altro che lo impedisce. io volevo solo dirti che ti trovo meravigliosa. un po sdolcinata forse ma a quanto pare se ho dovuto sognarlo per tirarmelo fuori vuol dire che tanto scontato non è 🙂
    Mi unisco al ringraziamento alle giornate veganqueer e a tutti i corpi che con generosità o timidezza hanno incrociato il mio. I nostri copri sono campi di battaglia, trincee e rifugi. Sono materia precaria come dici te. Sono l’imperfezione che ci sgrava dal peso del timore di corromperli

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