Dress code

“A volte fa male non essere accettata in luoghi che credi ti appartengano, fa molto male. Paula riferisce così il suo atterraggio nel mondo occupato di Barcellona: ‘Arrivai in Europa affascinata dai movimenti sociali alternativi. La prima volta che sono andata a un concerto in una casa occupata, sono andata divina de la muerte per come era quell’ambiente e rimasi stranita, perché non mi respinsero nè mi accolsero, non furono molto attenti o generosi. Non ero lì per un piano di polizia segreta, ero andata con una collega argentina occupante conosciuta da tutti ma in qualche modo non si fidavano di me.  Lo percepivo che era tutta una questione di apparenza. Nessuno mi parlava e mi dovetti ubriacare da sola per divertirmi. Mi sono sentita una bestia rara e pensavo, dove starà il posto per me? Ho compreso che dobbiamo costruircene uno, perché non esiste.'”

Itziar Ziga, Devenir perra, 2009 (traduzione libera mia)

Il movimento mi ha dato un sacco di cose. Mi ha insegnato a parlare (male) in pubblico, a usare un mixer, a smanettare quel tanto che bastava con i css di lifetype, e quel po’ di html che ci vuole per la quotidiana gestione di un sito. Mi ha insegnato il piacere di parlare a un microfono, di scrivere qualcosa e di condividerlo, di creare alleanze. Mi ha fatto conoscere amanti, con i quali più o meno tristemente è finita. Mi ha fatto viaggiare tanto.

Senza movimento non sarei andata a Copenaghen, Barcellona (la seconda volta), a Milano e in campeggio a Bologna.

Soprattutto, senza movimento non avrei tanti amici e amiche cui tengo tantissimo.

Nei centri sociali ci sono cresciuta, li amo e li odio. Me li sono trovati già fatti, ogni tanto un po’ arrancanti di fronte a politiche repressive. Li frequento ma non li sento veramente mie, ma non so cosa potrei sentire mio e un po’ ci sto male. Nei collettivi ci scazzo sempre e mi piace così. La modalità assemblea la trovo antidemocratica nel peggiore dei sensi, come una bella tipa mi ha detto una volta “le assemblee sono arene” e ci si scanna.

Però non riesco a non farmi venire il sangue al cervello e le lacrime agli occhi quando vedo che così non va. Mi piacciono i puri e le pure (e il purè) che non riescono proprio a fare porcherie, e sbattono la testa contro il muro in ogni momento. Vorrei avere l’escatologismo per pensare che un giorno costruiremo un mondo nuovo, noi. Poi continui a rimbalzare su muri di gomma fatti di niente e vorresti solo gridare. Invece vado vestita da ragazza perbene in centri sociali un po’ scannati, sorrido, fingo di non avere ansie. Fingo che a nessuno faccia strano. E tiro avanti.

 

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Catullo, Carmen 85

(l’immagine è una foto della stessa Itziar)

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3 Responses to Dress code

  1. Alle says:

    C’è da capire se il respingimento è reale o nella tua testa fracica… 🙂

    Se in alcuni luoghi, anche se hai contribuito te a crearli non ti senti più a tuo agio, forse è perché non ti appartengono più. Puoi esser cambiata te, può esser cambiato qualcosa di questo luogo.

    Credo poi bisogna saper distinguere gli amici dai “compagni”. Altrimenti si rischia di bruciarsi e di brutto.

  2. retroguard1a says:

    il problema è che io a tutti gli effetti sono costruente, ma spesso mi sento respinta. e tutto sommato posso anche essere respingente io.
    la costruzione pare semplice ma in realtà è un maciell.

  3. Alle says:

    Uno o magari più posti per sé è chiaro, bisogna costruirseli; creandosi una rete di luoghi, amici, relazioni…
    Non posso che ricordare ai tempi dell’Università quando a seguito di una serie di trasformazioni politiche all’interno dell’area studentesca, mi ritrovai a creare assieme ad altri, una nuova realtà politica che aveva come luogo aggregativo un’aula.
    Io c’ero dentro, io l’avevo costruita e nessuno mi avrebbe mai cacciato. E anche e qualcuno avesse voluto, non l’avrei permesso. Ma alcuni che si affacciarono in seguito, furono respinti da parte del collettivo. Poi quando non mi riconobbi più in quella realtà che ritenevo sporcata da interessi particolari, preferii andarmene io.
    Per fortuna avevo altri luoghi in cui trovarmi come a casa.
    Forse però da queste parole, la prima cosa che mi viene da pensare è che quando si fa parte di un gruppo e si presenta a questo un estraneo, bisognerebbe sempre cercare di farlo sentire a casa.

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