Sulla punta delle dita

Come si fa a non citare un testo dedicato agli amanti che giocano, agli uomini spaventati e alle donne malinconiche?

“La maggior parte delle persone, per ragioni pratiche, mangia con le mani (…) L’invenzione delle posate è relativamente recente e quella delle ferree buone maniere a tavola lo è ancora di più; entrambe sono legate a una cultura che si rapporta con il mondo attraverso la vista e che rivela una strana diffidenza nei confronti degli altri qattro sensi, soprattutto del tatto. (…) Tastare il cibo collega il tatto al piacere primario di soddisfare l’appetito; mangiare con le mani è un modo di cogliere l’anima del cibo prima di consumarlo. Mi piace fare i biscotti, sentire con le dita la morbidezza della farina, palpare la ruvida consistenza dello zucchero, quella scivolosa del burro e dell’uovo, amalgamare la pasta, tirarla, tagliarla; godo quando mi accingo alla paziente incombenza di lavare fragole o champignon, spremere un limone o affondare il coltello  nella ferma consistenza di una mela. (…) come le liste dei peccati inducono alla trasgressione, anche le costrizioni imposte a tavola possono avere un effetto eccitante. La formalità ha una componente erotica.

(…)

Le mani rivelano le nostre intenzioni: accarezzano, consolano, puniscono, lavorano. Una buona mano nel preparare una salsa equivale a una mano esperta nel fare massaggi. E’ un attributo prezioso e raro. Le salse sensuali, quelle che l’amante custodisce in segreto insieme ai tocchi più intimi e arditi, richiedono fantasia”.

Isabel Allende, Afrodita, 1998, Feltrinelli.

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