Vulcanizzazione

Si finisce così, di casa in casa, rotolando su divani e letti e poltrone letto. E si vedono città dimenticate e città che non si sarebbero mai immaginate. Si vulcanizza sulla propria pelle il desiderio e la paura, si leggono nei sogni catastrofi annunciate e la speranza di sopravvivervi e di tenersi per mano.

Come per l’antica civiltà della caffettiera, restare io te e un vecchio con la barba.

Il corpo, quello non c’è più.

C’è il corpo di chi è rimasto sotto la nube di polveri vulcaniche e c’è il corpo mio che non riconosco, coperto da un drago rosso come il fuoco l’amore e la distruzione.

Le compagne non si vedono, chissà se si sono salvate.

Chi è sceso nelle strade è rimasto immobilizzato dall’incapacità di organizzarsi. Chi è sceso nelle strade non ha avuto più capacità di vedere il mondo di fronte, solo quello prima. Lo sciopero della cura, che non sia per la cura di noialtrx. Cuidate, compagna! Prenditi cura di te. Prendi la merce.

Di nuovo, i corpi. Nelle nostre cicatrici, nelle nostre braccia martoriate, nelle nostre gambe gonfie per la ritenzione idrica dell’essere state troppo in piedi, aver viaggiato nelle ultime classi con gli ultimi migranti con i disagi dei turisti che non sono i disagi di chi così vive mentre il mal di mare mi faceva passare il bisogno di andare al bagno.

Abbracciamoci un’altra volta.

Ho bisogno di femminismi oltre le mura di un’università. Voglio prendermi l’aria, la vita, la città.

Che di tempo ce n’è troppo poco per aspettare.

Collage sparso di viaggi, sogni, manifestazioni, cicatrici.

Oltre alle foto semituristiche, courtesy of google images, il link è: http://www.kozerawski.com/

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