Il piacere di farsi male

Ad un certo punto della tua vita arrivi a dover fare i conti con la merda che ti sei fatta.

Non perché non sapresti rifarlo, o forse proprio per quello, ma perché rendere pubblico un disagio è come renderlo comune, e a mal comune mezzo gaudio.

C’è stato un tempo, vicino a quello in cui ho cominciato a contarmi le calorie, in cui non mi piacevo molto. Non tanto perché non mi piacessi sul serio, ma perché vedevo negli occhi di chi mi piaceva la ricerca di altri occhi di altri corpi. Eppure c’era lo sfruttamento del mio di corpo, non perché prendesse tutto quello che poteva (a me sono sempre piaciuti più quelli che dei piaceri un po’ si privavano, di quelli che li volevano tutti e subito), ma perché prendeva proprio quel tanto che gli bastava. Anche se sapeva che non mi bastava.

E io ritornavo, ritornavo sempre. Ritornavo perché ero dipendente. Ero così dipendente che ad un certo punto, pur di farlo tornare o per sottolineare che comunque non era lui a farmi male, mi sono incominciata a fare male. Non troppo. Il giusto per stare peggio di come stessi. E giuro che gli emo non ci stavano ancora.

Anni dopo, ho voluto rifarlo. Ho voluto rifarlo per altri occhi, occhi che non mi guardavano più. Non l’ho rifatto. Ma ancora, ogni tanto, mi riempo di cibo fino a scoppiare. Non come quando ero piccola e volevo vomitare, ma le dita in gola non riuscivo a tenercele più di tanto.

Non so se l’ostilità che provo verso le droghe sia istinto di autoconservazione e ipocondria, o semplicemente evitare un edonismo che non mi appartiene. Privazioni, più che piaceri e farsi male, più che farsi coccolare. Al che poi, è naturale anche correre dietro padellate sulle gengive, frequentare le persone che non possono dare quello che si vuole. E finisce che a un certo punto rimani sola, guardata un po’ strana e ti senti un po’ deficiente. E forse lo sei anche.

La verità è che non ho un buon rapporto con me stessa, ma voglio tenere tutto sotto controllo. Controllo i movimenti, il dolore, il piacere, il cibo, i soldi. Vivo di tabelle e non mi lascio andare. E riecco le droghe, che sono proprio lasciarsi andare: l’autolesionismo che mi compete è scientifico, non delegato alla chimica. Da qui il rifiuto a farmi far male da altre mani, nella ricerca di altri piaceri. Sempre e comunque devo mettere il punto, avere mani e bocca libere per poter allontanare.

I giochi di fiducia non mi sono mai piaciuti.

Il piacere di far male a se stesse è opposto a quello per cui ti fanno male. Dò sempre la colpa prima a me che agli altri e il dolore fisico ne è stato solo un paradosso. I sensi di colpa mi si mangiano da anni e in vari ambiti: politico, quando mi allontano troppo dai momenti tesi, sentimentale, quando scelgo di continuare relazioni che sono fallimentari in partenza, umano, quando il disagio e la goffagine mi fanno sentire così sola e burbera che se si avvicinasse qualcuno e avessi a portata una pistola gli sparerei. Quando sono innamorata faccio talmente tante stronzate che non so come contarle. E per questo non amo più, o amo sempre la stessa, irragiungibile, persona. Che per fortuna, per una volta, è almeno una bella persona.

I post di autocoscienza riportano il blog a una dimensione adolescenziale ed emotiva che a volte cerco di svicolare con post politici. Ma la politica è personale e il personale è politica e anche sbattere la testa contro il muro e tenersi tutto dentro non è cosa buona e giusta. Non va bene provare rancore  (anche per tutta la vita)  perché fa bruciare lo stomaco, quando si vorrebbe far bruciare tutt’altro. Vorrei saper dire in faccia tutto quello che non riesco e avere meno amarezza in bocca, vorrei poterlo fare.

Ma ogni comunità e coppia ha le sue regole e chi le infrange è reietto di default. Allora continuo a bisbigliare i miei rancori alle spalle, sperando, un giorno, di trovare l’occasione di metterli sul piatto e di discuterne. Ma forse è proprio il bisbiglio che non me lo permetterà. E in fin dei conti preferisco il mutismo, ai litigi, i blog a guardarsi negli occhi.

Colonna sonora in a teen style:

[e queste poche righe, sono un po’ una dichiarazione d’intenti a fare tutto il contrario di ciò che ho fatto: chissà se prima o poi mi riesce, dunque, di volermi bene, lasciarmi andare, farmi l’amore, farmelo fare]

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