Grigiumi d’Autunno

E’ un po’ che vorrei scrivere due righe sul movimento.

In passato l’ho fatto, e sono stata troppo dura. Più recentemente, ho forse trapelato un ottimismo eccessivo (più per spirito di antagonismo che altro). Forse dietro il cinismo in cui mi maschero, sono una facilmente illudibile, o più facilmente, sono semplicemente una persona che deve darsi motivo di continuare ad andare avanti per certe strade.

La verità è che ci sono giorni in cui mi alzo e penso sei volte prima di fare colazione “ma chi cazzo me l’ha fatto fare?”. A volte poi rimango in pigiama, a ciondolare per casa, tra radio e computer. Anche se in realtà io avrei una voglia di fare che ad averne il tempo vi avevo già costruito il Ponte sullo stretto (o qualcosa di un po’ più utile, magari).

Il problema è che tutta questa voglia di fare sembra a volte infrangersi su vetri che non si erano visti. Il soffitto di cristallo era paradigma economico della condizione femminile, ma ora mi sembra abbastanza comune al movimentista in genere. Ma questo senza perdere la coscienza del fatto che intorno al cristallo il mondo si muove e non sempre in direzioni sbagliate. Il periodo vuole che sia particolarmente fissata con le reti di relazione, come modo per acquisire coscienza, come primo step per riconoscere le proprie fragilità ma anche potenzialità, come primario stadio del cordone sanitario contro un potere sempre più pervasivo e diffuso che è difficile vederlo. Queste reti si stanno sviluppando, o forse no, ma di sicuro ci si prova in ambiti diversi da quello nostro.

I Gruppi d’Acquisto Solidale, ad esempio, nascono a tutelare lavoratorici, ma anche consumatorici, in una costruzione sinergica che supera tutti quegli impedimenti, quei colori, quelle luci, che il capitale voleva frapporre tra noi e loro, continuando ad abbattere quartieri e case, cementificare parchi, per poi semplicemente costruire scintillanti quanto fastidiosi a ogni senso centri commerciali. L’idea però mi è nata guardando alle comunità indigene messicane, alla loro messa in comune, a tutti i livelli, delle scelte. L’ho confermata leggendo quel poco di Foucault che ho letto (le resistenze devono riconoscere se stesse per poter costituire un problema per il potere) e l’ho visto applicato su scala più vasta con le donne vittime di violenza. Tessere legami, storie, unire fragilità e perché no, abbracciarsi, sono solo alcuni dei modi in cui le donne escono dalla violenza. Ma la violenza è soprattutto isolamento, quindi comunque è necessario, per uscirne, creare o ristabilire i legami persi. Da sole si fa poco.

E l’altro mio pallino, è che la violenza sulle donne sia a livello sociale ciò che succede a livello statale. Cosa piuttosto palese in talune situazioni, come dopo l’omicidio Reggiani col pacchetto sicurezza, o con l’attacco ai Consultori e tutte le cose simpatiche che legiferano sui corpi, sulla vita e la morte, quasi a voler strappare un divino che è femminile, ma anche umano, tramite l’istituzione, lo stato e il potere. Dunque perché le reti non dovrebbero funzionare anche contro tali violenze? Conoscersi e riconoscersi, più nelle similitudini che nelle differenze.

Tutto ciò è molto difficile. Ma credo sia l’unica azione possibile. In questo mondo che dopo gli anni ’90, tanto belli e cari, ma che ci hanno rinchiusi in centri sociali umidi e puzzolenti a perdere ogni utopia, qualcosa si deve fare. Sempre che si voglia. Altrimenti faremmo bene a rinchiuderci nelle case, ad andare a lavoro, a diventare uomini e donne grige. Come quelli che tutti i santi giorni si masturbano sulle nostre relazioni, illusioni e voglie di fare, origliando le telefonate, facendoci perdere tempo quando ci fermano in piazza. Come quelli vestiti uguali (oh, e io ho smesso per fortuna di vestirmi sempre uguale a me stessa, che già tra me e me avevo dei problemi!). Come quelli che pensano solo ai soldi. Come quelli che invece di fare l’amore sono affamati di sesso e non riescono a fermarsi nemmeno di fronte alla passione altrui. Come quelli che invece di volersi bene perdono il tempo col rancore (e io sono un sacco grigia in questo). Come quelli che pensano alla pagliuzza negli occhi degli altri senza vedere la trave dei propri (fortuna che sono miope).

Tocca riprendersi un sacco di cose, anche i colori che ci hanno rubato con il tempo, i soldi, il lavoro, il futuro e il sapere.

Però compagni vuol dire sempre coloro che mangiano insieme.

This entry was posted in saudade. Bookmark the permalink.