Sono una 3G

Io sono una 3G (nel senso di terza generazione di migranti).

Sono una 3G anche se biascico romano.

Avete presente quando mi hanno dato della austriaca, dell’olandese, della francese, mi hanno creduta belga perché in presenza di un belga e degli afghani non volevano credere che non fossi romana, ma mi facevano rumena?

Era perché sono una 3G.

Sono una 3G anche se non me lo ricordo mai e mi sento più romana del Colosseo.

Sono una 3G perché i miei nonni hanno fatto le valigie di cartone, negli anni ’50, e sono fuggiti dallo stalinismo.

Sono una 3G perché mio zio è nato in Ungheria, mio padre è cresciuto nell’allora periferia della mia città ed è stato messo in un cassetto perché non aveva un letto (e in effetti non lo ha mai avuto, visto che lo hanno costretto sempre a un divano letto, i suoi genitori).

Sono una 3G ma non so dire nemmeno le vocali nella lingua materna di mio padre.

Sono una 3G ma non ho mai visto tutti i posti in cui sono finiti i miei parenti. Fuggiti alcuni dal nazismo, altri dagli americani, altri ancora dagli stalinisti.

Sono una 3G e non vanto natali partigiani. Anzi.

Sono una 3G però ogni tanto sono un po’ razzista.

Sono una 3G. La politica di integrazione ha disintegrato la mia cultura d’origine. Sarebbe stato bello conservarne memoria, senza rimanere semplicemente affascinata di fronte a librerie per me criptiche. Se mio nonno avesse parlato di più, sarebbe stato bello saperne qualcosa. Rimangono i deliri di mia nonna, tra finzione e verità, come in un dipinto di Chagall*.

Mi accontenterò.

* il cui dipinto (“Passeggiata”) campeggia in alto. Pittore ebreo, chissà che ne penserebbero le mie origini conformisticamente antisemitiche…

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