La violenza illustrata parte 2

Saltando a piè pari l’8 marzo, passo al secondo raccontino di gran pacchi di cazzi miei (in tutti i sensi, soprattutto quelli letterali).

Stavolta passiamo ad alcuni anni dopo, ero già alla laurea specialistica e in effetti era proprio il giorno in cui la laurea specialistica la stavo festeggiando. Ero triste, anche se avrei dovuto essere allegra. C’erano poche delle persone cui volevo/voglio bene, e soprattutto mancava il tipo per cui mi ero presa una cotta pazzesca all’epoca.

Io mi prendo una cotta a semestre, poi mi passa, ma in quel momento ero proprio nella fase acuta. Lui era a un bel concerto, io in quel del Forte.

Comunque, del Forte conosco bene le delizie dell’enoteca e qualcuno con cui passare il tempo c’era, ed era anche qualcuno di cui mi fidavo parecchio e cui parecchio volevo/voglio bene. Tant’è che, abitando ancora dai miei genitori, avevo deciso di andare a dormire da lui (che aveva una stanza libera e abitava vicino, permettendo quindi ubriacatura allegra e spensierata, oltre che meritata).

E io bevevo. Bevevo. Bevevo. Ricordo solo che da un certo punto in poi non ho più ricordi. Non ricordo quando sono caduta e mi sono rotta l’unghia dell’alluce, non mi ricordo come mi sono persa cose che ho poi ritrovato, non ricordo come siamo tornati a casa anche se mi ricordo con chi.

Non ricordo di essermi particolarmente divertita, e mi ricordo che salimmo in ascensore e mi mise a letto. Il letto degli ospiti. Solo che poi non si fermò. Mi spogliò quasi del tutto (era estate e non c’era tanto da togliere) e iniziò a leccarmela. Fu brutto. Io non volevo e lo sapeva, a lui forse piacevo pure da un po’ ma non era mai successo niente anche se le occasioni non erano mancate, e soprattutto io non ero assolutamente in grado di reagire in nessuna maniera (nè positiva nè negativa). Rimasi amareggiata per quel poco che riuscivo a capire della situazione. Ma lui si fermò prima di rovinarmi del tutto la nottata, e se ne andò a dormire in camera sua.

Al mattino mi svegliai che non ricordavo quasi nulla, se non quell’episodio sgradevole nel letto. Non trovavo pezzi di cose di cui avevo bisogno e andammo insieme a lui (cui nel frattempo avevo detto che non ricordavo niente della sera prima) a riprenderli. Mi aiutò parecchio, con un evidente senso di colpa galoppante, ma io non dissi niente di quello che ricordavo.

Più tardi mi contattò e mi disse che forse non si era comportato proprio bene. Gli dissi che no, aveva ragione. Ci vedemmo per parlarne. Comunicai la mia ormai amaramente scarsa fiducia nei suoi confronti, lui capì e si scusò per quello che aveva fatto.

Fu doloroso, ma siamo ancora amici. Certo, riacquistare la fiducia nei suoi confronti non è stato un processo rapido. Non è nemmeno stato un processo allegro. C’è comunque qualcosa nel nostro rapporto che si è rotto e rimarrà sempre un po’ sbeccato, anche se ci vogliamo bene.

In aggiunta, io non mi sento a mio agio a bere troppo, non mi drogo e non ho intenzione di farlo e a volte solletica la mia mente il sospetto che quel giorno mi abbiano fatto uno  scherzo con le sostanze, ma tutto sommato questi sono sospetti più relativi alla scarsa stima di un certo entourage che alla realtà dei fatti. Dunque mi tengo le mie responsabilità, anche se non ho sensi di colpa. Perché comunque conservare un briciolo di lucidità non fa mai male, fosse anche solo per essere in grado di dire “no” (anche se niente giustificherebbe azioni fatte su una persona incosciente, sia chiaro).

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