Mi consenta

Siamo tutte sopravvissute, siamo tutte perpetratrici?

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Murale di MP5

Non saprei, ma di sicuro io sono entrambe le cose.

Partiamo dai panni sporchi: sì, ho insistito oltre il limite che di fronte mi avevano posto, per due volte almeno, poi chissà se ce ne sono state altre che non m’hanno esplicitato [mentre rileggo mi viene in mente un altro episodio in cui avrei proprio potuto accannare prima, anche se in quel caso non m’è stato poi rimproverato particolarmente, chissà lui come se l’era vissuta]. Ed è facile nascondersi dietro costruzioni sociali che non ci insegnano, a noi biodonne intendo, che un “no” un uomo non lo potrà dire mai, o che se non c’è penetrazione e si è vicini e nudi/e nulla di male può essere fatto. La verità è che un “no” detto o espresso è sempre “no”. Non c’è amore, nudità, complicità che tenga.

Io non l’ho rispettato, è capitato, è passato del tempo e le frequentazioni sono cambiate, ci sono stati dei sì, degli allontanementi e nulla è dipeso, o tutto è dipeso, da quell’errore che ho fatto. Ma l’ho fatto e non vorrei rifarlo.

Non vorrei perché ho detto “no” e non sono stata rispettata, e anche se quella volta non sono dovuta scappare, non ho dovuto urlare, per evitare di fare quello che non volevo, avevo di fronte una persona di cui mi fidavo e con cui volevo fare altro o non fare nulla, che mi piaceva molto e questo non mi ha fatta alzare per andare via, mi ha fatta rimanere a raccogliere umiliazione e violenza. No, non sono stata violentata, sì, ho subito violenza. E poi l’ho subita tutte le volte che ho detto, “no, per favore, non mi toccare la testa, mi dà fastidio” e lì a non capire, non voler capire.

Poi mi è ricapitato e alla fine come per me in quelle altre due occasioni a lui è toccato il compito di parlarmi e di chiedermi scusa, e ancora una volta di lui mi fidavo e pensavo di potermi sbottonare tutti i bicchieri di vino e amaro che avevo di fronte. E ora preferisco comunque essere per lo più lucida, guardare il mondo con il massimo di raziocinio possibile, non dover delegare a nessuno il mio rientro a casa sana e salva, perché non si sa mai.

Però se col primo non ho nessun rapporto ormai, e mai più vorrei averlo, col secondo ancora scherzo e mi diverto. Perché anche se è sempre meglio che non ci sia affatto un momento in cui si supera il consenso, quando si cade dall’altra parte – e non si è cadut* troppo in là da non poter recuperare nulla (penso allo stupro in tutte le sue forme, ovviamente) – forse in qualche maniera ci si può riavvicinare. Con tatto, accortezza, tanto ascolto. Soprattutto quando tutto accade tra persone che si conoscono bene, perché tutte le volte quello che mi è successo è stato nell’ambito di relazioni molto carine che avevo (e che in parte ho ancora). La cosa buffa e grottesca è che forse, almeno per me, proprio con le persone che amo e desidero di più cado nella tentazione di non rispettare i “no”, di non ascoltare, di non avere la dovuta accortezza. Ma non è nelle relazioni più belle che si deve dare tutto per scontato, anzi, proprio lì il consenso e il conoscersi possono cementare cose belle. In un caso poi, l’elaborazione del tutto è stata parte anche di un percorso collettivo esterno. Ci siamo ritrovati in un workshop a parlare di consenso con altre compagne e compagni e questo è stato utile, anche se non del tutto risolutivo.

Come capire cosa si può e cosa no? Come comunicare cosa si vuole ricevere e fare?

Quanto è brutto sentirsi a disagio a fronte del proprio non voler far nulla, senza sapere da dove partire per spiegare che non sei tu che non mi piaci, è proprio che in questo periodo ho voglia di essere coccolata. Quanto pare brutto dire non mi entrare dentro se non ti va di leccare, meglio niente che soffrire. Eppure dirlo evita il disagio di non sapersi più guardare, il buttarsi in situazioni di merda perché è l’ormone che te lo chiede.

Spesso mi è capitato di scopare per noia, per convenzione sociale – chi non scopa è sfigat*, chi scopa solo con una persona è antiquat* -, per non sentirmi rifiutata. Forse un buon punto di partenza è proprio quello di trovarsi in consenso prima di tutto con se stesse. Se l’atto sessuale non è performance sociale o verifica dell’autostima, credo che sia più facile capire dove ci si diverte in due e dove non si diverte nessun*. Per tutto il resto basterà il parlare prima? Forse no, dicono che rubare pratiche dal bdsm possa essere utile, che lì il consenso è questione di vita e di morte, ma un po’ lo è sempre.

Questa interpretazione mi convince abbastanza, ma chissà poi se la saprei applicare!

To be continued…

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