Vita da squatter

Ho passato un sacco di anni a dire che non sarei andata a vivere in uno squat o un’occupazione. Perché richiedeva energie e testa, implicazione nella lotta, adesione a uno stile di vita e una comunità, una certa preparazione atletica.

Non sempre ciò che si dice o si pensa finisce per essere attuabile. E alla fine ci sono finita. E nemmeno nello squat degli amici più cari, per quanto qui le persone si difendano, nella loro amabilità.

Non ho una stanza, ma un paio di borse e a tratti il letto di qualcuno che me lo cede per caso.

Non comunico bene con tutt* e non posso partecipare alle assemblee. Anche se privilegiata, sempre immigrata sono.

Per fortuna che ricevo sorrisi in cucina quando incrocio le persone, che c’è sempre qualcun* con cui chiacchierare in sala, che ci sono i workshop su tutto a tutte le ore. Che il punk che si sente metal e vive la vita di strada con cui forse condividerò la camera a breve alla fine cerca di comunicare qualcosa anche se non sa niente di inglese. E alla fine ci capiamo un po’. Per fortuna che la cucina non è così sporca e il bagno nemmeno. Che si può comunque vivere dignitosamente anche se mi sento una merda quando non condivido tutto ciò che compro (anche se buona parte sì), perché lo skipping ancora non lo so fare…

Non è poi così male questa vita da squatter. [mi viene da pensare che in Italia i sorrisi sarebbero stati meno, per una piombata dal nulla in una occupazione. ma chissà!]

Chissà che poi non ci prenda gusto.

Immmagine: http://rememberolivemorris.wordpress.com

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