Algoritmie

Alla fine l’ho letto pure io. Dopo tutte e tutti.

Ho riso, mi si è stretto lo stomaco, ho pensato di nuovo che avevo perso certe cose, o meglio , che ero gelosa della condivisione.

[imparare il poliamore non era mai stato così facile, mia cara]

Sono andata a dormire sorridendo, pensando all’odore di bucato sentito nel pomeriggio, di nuovo. E quasi senza accorgermene ho pianto. Ho pianto perché tutto era in quel periodo. Quello in cui tutto cadeva, quello delle gelosie, dei pianti, delle fughe, di andare alle manifestazioni solo per incontrarlo. E poi sentirmi di nuovo stupida e meschina perché tutto succedeva di fronte a cose più grandi. E poi pensare che quell’innocenza mai più.

Perché in mezzo c’è stato mettere il pannolone a tuo nonno, solo una volta ma tanto è bastato per diventare all’improvviso adulta, non so quanti ospedali, prima per una nonna, poi l’altra, poi l’altro e poi il funerale.
C’è stato vedersi con una persona troppo più grande e meno adulta per poterci avere un rapporto equilibrato e ritrovarsi alla fine con le ceneri di quella relazione e di tuo nonno in mano. Elaborare molteplici lutti e confrontarsi ancora con chi non li ha elaborati.
Cercare anche la forza per andare a trovare lei all’ospedale e poi pensare che non si è fatto abbastanza e forse non lo si farà mai e sperare che niente succeda di nuovo e non sapere cosa si potrebbe fare.
Voler stare un po’ di più con la propria madre dopo un momento difficile e sapere che ancora non posso tornare. Non solo per gli studi.

Poi c’è riscoprire tutto da capo, riscoprire i corpi, riscoprire come si fa l’amore e la sensazione della cotta dopo altri appuntamenti. Nonostante qualcuno già ti veda quarantenne.

Non mettere paletti, perché tanto domani sarò da un’altra parte e dopodomani da un’altra ancora.

Ma fare i conti su quante volte mi ha chiesto la gomma da cancellare l’altra sera.

[qualcosa in comune ce la dovremmo ancora avere, no?]

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