Un cuerpo desconectado che anhela calor

– Raccontami una storia

disse una.

– Solo se rimani sopra di me tutta la notte.

disse l’altra.

– Non penso che sia molto confortevole per te.

– No macché. Al massimo potrei soffocare – disse l’altra apprezzando il peso dell’una sulla pancia.

– Dai, raccontami una storia. E toccami. Mi piace sentirti quando mi tocchi.

L’altra iniziò a disegnarle il corpo con la mano aperta, mentre pensava a che diamine di storia potesse raccontarle. Ma c’era solo l’amarezza di dire arrivederci a quel corpo che anelava calore cui aveva tenuto compagnia in quei mesi. Dai no, non piangere. Te ne andrai presto, ricomincerai tutto come prima. Occhi neri pieni di lacrime. Quegli occhi che le avevano comunicato attrazione, gioco, scostamento.

Era piuttosto l’altra che avrebbe dovuto avere gli occhi pieni di lacrime.

Sapevano entrambe che forse era quella l’ultima volta. E che se non fosse stata quella sarebbe poi stato tutto diverso.

Una aveva un corpo disconnesso, perverso, polimorfo. Un corpo sottile, ma potente e comunicante attraverso tutte le sue ipocondrie, malattie e somatizzazioni. Il corpo della madre dell’altra riversato all’interno di un fegato che si ingrossava, ma trent’anni prima. Una bocca che soffriva un calore isterico, un seno con una cicatrice, un corpo che era stato anoressico.

– Questo è un lunar?

Chiese una a l’altra.

– Non so, un neo sul labbro?

– Sì, non lo sapevi?

– No, non me ne ero accorta. Nessuno se  ne era accorto.

La mattina dopo, l’altra si guardò allo specchio. Era vero. Aveva un neo sul labbro, in basso, e non se ne era mai accorta. Quel neo era di l’una. Era un lunar.

Immagine da qui.

This entry was posted in saudade, storielle. Bookmark the permalink.