Sugli stupri e il sessismo

La lotta delle donne (e non solo delle donne) è una lotta carsica. Erode e crolla e ricomincia a erodere da millenni. Da millenni resistiamo e da millenni lottiamo, da millenni ci impantaniamo a volte in mormorazioni nel deserto, fermandoci a tratti per aspettare la manna. Ma la manna va raccolta, non viene dal cielo.

La lotta delle donne (e di tutti quei soggetti che il patriarcato opprime) è una lotta fondamentale, perché non c’è liberazione dell’invididuo senza liberazione dei generi.

Per questo ho scelto di renderla primaria: l’ho scelto perché l’oppressione trasversale di metà dell’umanità contiene la chiave di ogni altra oppressione. La liberazione della donna, non è emancipazionismo, non è parificazione in obblighi sociali ingestibili, non è raggiungere il potere. Il potere mi interessa solo nel senso del suo scardinamento. Non mi voglio candidare per portare acqua al mio mulino, vorrei arrivare al giorno in cui nessuno più voglia candidarsi.

Vorrei che il potere fosse un gioco sessuale, al più. Un po’ io un po’ te, domani facciamo a cambio.

[Digressione: Quello che vorrei è una società il più possibile orizzontale (il modello decisionale che preferisco è senza dubbio quello zapatista), libera per quanto riguardi gli individui dal punto di vista del genere, libera da obblighi lavorativi (forse un po’ comunisticamente un a ciascuno secondo bisogni, da ciascuno secondo possibilità, ma riducendo gli obblighi al quieto vivere: monnezza, cibo e acqua, servizi e in senso per quanto possibile solidale più che statale).]

L’esigenza di scrivere queste righe viene dalla riproposizione isterica (nel senso patriarcale del termine) di ciò che è stato, per non guardare ciò che è. Non si lavora sull’immaginario e sulla lotta cercando di proporre le proprie idee, condividerle e cambiare la mentalità (dei movimenti, della società…) ma si aggredisce rabbiosamente, ci si chiude e ci si tappano le orecchie. A volte, in maniera anche strumentale, ci si riempe la bocca della parola stupro, che è una parola che dovrebbe essere invece usata con molta cautela, con parsimonia, perché è una parola pesante, radicata nel nostro vivere “civile” ma che così viene travisata e svuotata di contenuti.

Sarebbe ora di ricominciare un ragionamento misto su certi temi.

Esempi pratici:

Sarebbe ora di capire che se in “spazi liberati” un uomo (per di più se appartenente a quel contesto e non forastico) può molestare e aggredire verbalmente due ragazze perché stanno insieme, è un problema.

Sarebbe ora di capire che se un sistema produce luoghi in cui si può stuprare, ricevendo la solidarietà delle persone che li vivono, è un problema. In alcuni casi, perché ciò va a sommare la prevaricazione di classe ed etnica, oltre che quella di genere, il che aumenta un già abbondante schifo.

Sarebbe ora di chiamare i viscidi viscidi e ostracizzarli in tutti i campi.

Non posso chiamare compagno chi non si ponga il problema delle proprie relazioni. Non perché io sia più brava: sono sessista, come tutti, perché cresciuta in una società sessista. Ed è anche vero che non ho voglia di fare la lezione a nessuno. Non mi piace che si lavino le coscienze con l’ascolto di qualche paroletta buttata lì, l’antisessismo è una linea che dovrebbe essere ricercata in ogni percorso. Poi certo, noi possiamo suggerire dei metodi, degli input, perché abbiamo lavorato su questo. Ma nulla più. La lotta è un fatto che va interiorizzato e su questo, oltre che con i bastoni, noi possiamo molto poco.

Per accompagnare la lettura:

immagine da: Ana Elena Pena

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