Un fantasma si aggira per i centri commerciali

[Sotto: link all’ennesima repressione, con annesse iniziative in merito]

Siete in un supermercato, in un centro commerciale, in un negozio di elettrodomestici.

Con fare mellifluo, sorridente, vi si avvicina una giovane o meno giovane donna, ben vestita, che richiama la vostra attenzione. Dapprincipio, avete quasi piacere in questo approccio, senza rendervi conto che intorno a voi alcune persone, accortesi di costei, fuggono rapide come il vento, si arrampicano sugli scaffali per sfuggire al suo sorriso, fingono di parlare al cellulare.

Ma chi è la giovane donna che cerca l’approccio? Perché è così  formalmente abbigliata?

La promoter, non troppo nuova figura del precariato metropolitano ed extrametrapolitano, il cui humus vitale è il supermercato, il centro commerciale, volendo, anche la cattedrale nel deserto.

Stanca, in piedi da alcune ore, costretta a sorridere di default, intimorita dalla presenza costante di controlli da parte di (nell’ordine): direttori del punto vendita in cui si trova, agenzie e clienti delle agenzie stesse (per interderci, quelli il cui prodotto deve essere venduto). Tutti si fingono simpatici, carini, affabili, ma nessuno lo è. L’abito non fa il monaco e il fastidioso accento milanese, da imprenditoria mal riuscita, mostrano la frustrazione di chi lavora per agenzie o come ultima ruota del carro di grandi aziende. La promoter lo sa, li teme per questo e vive dei suoi 5,50 euro l’ora nell’ottica di non essere più richiamata qualora la scoprissero intenta a flirtare, fumare, bere caffè, trovare agio seduta nella stanza dei dipendenti. Non essere più richiamata potrebbe essere anche utile, se la promoter fosse una studentessa universitaria di scarse prospettive. Non sarebbe altrettanto piacevole, qualora fosse una donna di mezza età, intenta a vendere latticini, il cui fine ultimo è quadrare il cerchio con lo stipendio o la pensione che già si ottiene, ma che non basta a pagare affitto, mandare la figliola all’università e comprare il motorino al figlio maschio che ormai è una necessità almeno almeno per salvare le orecchie.

Tornando a voi, se la signorina ha sbattuto abbastanza le ciglia, avete già comprato il prodotto. Perché la promoter fa leva su quel general intellect che ci riguarda tutte e tutti, e così riuscirebbe a vendervi anche un viaggio su Marte nel 2020. La promoter è l’essenza stessa del precariato cognitivo, della messa a lavoro della politica e dell’improduttività del lavoro. Il marchio non conta più nulla, contano solo le relazioni.

Mentre qualche promoter lavorava in qualche centro commerciale, uguale ovunque si trovi, senza problemi di latitudine e longitudine, a Brescia la repressione si abbatteva ancora una volta su migranti e attiviste, solidali e mediattivisti.

Per questo siete tutti caldamente invitate a leggere la cronaca di ieri, a incazzarvi un po’ per le cariche e a portare solidarietà dove vi sia più comodo. La solidarietà è un’arma, che non riporterà in Italia le 12 persone espulse, ma che magari potrà qualcosa per altri futuri.

[Io però sulla gru non ci vado, perché soffro di vertigini!]

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