Volevo parlare di precarietà e mayday e sono finita a fare il solito post esistenziale, però il personale è politico, si sa.
A me i saluti mettono sempre malinconia, specie quando è alle prime della classe che saluto, cioé zii e zie che mi sono scelta dopo anni di immobilismo di movimento, tra una e l’altra trasferta.
FACEZIE
Mi ha fatto male, questa volta, salutare così rapidamente così tanta gente. Avrei voluto dare di più a tutti e tutte, e non sono riuscita a dare quasi niente. Qualche abbraccio, qualche sorriso, qualche sciocchezza. Però l’amarezza di un viaggio in pullman durante il quale ripensare a tutto, soprattutto a tutto quello che dovrò fare.
Dovrò laurearmi, dovrò partire. Dovrò affrontare una vita difficile in posti complicati e lo dovrò fare da sola. Il che mi piace. Mi piace perché nonostante tutto, mi sento un po’ sola. Mi sento male a pensare a tutte le persone a cui avrei dato tutto e che invece mi sono accorta essere poche dentro. Mi sento male a pensare a chi si è risentito per miei discorsi spensierati, che in realtà erano tutto meno che leggeri.
L’amarezza di un viaggio in pullman a pensare ai baci che non ho dato, che non mi hanno dato. Anche se a volte faccio uguale, mi ha fatto un po’ strano andare a letto tre giorni con una persona e non sfiorarci nemmeno per sbaglio quando andavamo in giro. Non ho resistito dal ricoprirlo di rossetto quando ci siamo detti “ciao”, “magari la prossima a Roma”, ma chissà se ci sarà una prossima. L’amarezza anche di pensare che non ho più un letto caldo che mi attenda. Una persona da carezzare la notte. L’amarezza di non ricordarmi quando è stata l’ultima cotta, o fare finta di non ricordarsi affatto le cotte sbagliate.
Vorrei avere più amiche, ma – sarà un retaggio di quando volevo essere un maschio, giocare a calcio e non darla mai a nessuno perché tanto c’era la clitoride? – mi trovo meglio con gli uomini. Vorrei più momenti di socialità tra donne, non invidiarsi solo per la conta degli uomini o delle donne con cui siamo andate a letto. Ma anche solo più occasioni di socialità. Vorrei che ci toccassimo più spesso, e se è vero che le migliori amiche altro non sono che proiezioni saffiche di desideri rimossi, che facessimo l’amore.
Mi sento usurata dall’eterosessualità. L’unica cosa che mi conforta è la consapevolezza che non sarò mai una vera donna, visto che non so star ferma cinque minuti per aspettare che lo smalto si secchi.
DETONAMENTO
E poi c’è ricordarsi, in mezzo alla spensieratezza, tutta la merda che sta in giro. Le aggressioni fasciste, le persone ammazzate dagli Stati stranieri e da quello nostro, le beatificazioni di uomini di potere lerci come tutti gli uomini di potere. Voler piangere quando si legge la sofferenza di un’amica, invece che incazzarsi come delle iene, o addirittura abituarsi a quelle sofferenze. Come quando d’estate ormai siamo avvezzi agli accoltellamenti e ti sembra quasi che ti scivolino su, come se fosse lo stato normale delle cose, quando di normale non c’è proprio niente.
La precarietà è una cifra esistenziale, messa nero su bianco dai padroni e dai loro amici. Il fascismo si interiorizza piano, nella banalità dell’abitudine che ci colpisce solo quando ci arriva vicina. Forse è solo collettivizzando le nostre ansie, che riusciremo a uscire da questo pantano brutto. Ecco, vorrei sperare che gli abbracci collettivi salvassero il mondo.
Menomale che è morto Bin Ladin così almeno è diminuito il tanto parlare di quel ciccione pelato che hanno beatificato in un giorno sacrosanto, ma solo per i lavoratori e le lavoratrici, almeno dove glielo concedono.
così se famo tutt le spalle larghe!
anche io sono faticoso.
io sono faticosa sempre, mica ogni tanto!
Vabbé non hai colto la mia citazione dalla serata della tua zietta in cui hai corretto la mia pronuncia romanesca. Uff, che fatica che siete ogni tanto.
Dalla roma papalina si vocifera:
Defecatio matutina
bona medicina.
Defecatio meridiana
neque bona neque sana.
Defecatio vespertina
ducit hominem ad ruinam
come disse l’anonimo salernitano.
Fa te.
Così suona? =D
devo annà in bagno =D