L’orrore è quotidiano

In questi giorni in cui l’orrore unisce tutti sotto il braccio dei potenti, non voglio e non posso dimenticare che l’orrore è quotidiano. L’orrore dei migranti che a Melilla si ammazzano sulle barriere di filo spinato della Fortezza Europa, che affogano nei mari, l’orrore delle bambine kamikaze che si fanno esplodere o vengono fatte esplodere nei mercati dalla infamità di Boko Haram, che non nega il proprio odio per le donne. Lo stesso odio che porta la violenza domestica alla quotidianità dei nostri vicini di casa. L’orrore nel racconto di teste sbattute contro il muro, teste diverse in contesti diversi eppure la paura rimane la stessa.

L’orrore è quotidiano, si insinua nelle nostre vite di tutti i giorni, esplode a volte nella detonazione di un ordigno o negli spari di un kalashnikov, uccide di botte nelle carceri, o nelle esecuzioni della più antica democrazia del mondo.

L’orrore è a Guantanamo, ti bussa alla porta per chiederti un po’ di zucchero con la faccia angelica del vicino, oppure si palesa nelle bandiere nere dell’Isis, che sono anche la diretta conseguenza del nostro passato e presente coloniale.

Allora nonostante l’orrore sia esploso in una redazione di un giornale satirico, forse è vero, c’è un errore, non siamo Charlie. Ci riconosciamo in tanto altro, abbiamo il dovere di ricordare anche altro.

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C’è un errore, io non sono Charlie…

Non dubito che esistano dei «Charlie» simpatici e pieni di buone intenzioni. Sono inondato, come tutti, dalle loro lettere indignate. Io non lo sono.
Non sono Charlie, perché so che l’immensa maggioranza di questi Charlie non sono mai stati né Mohamed né Zouad, vale a dire nessuno di quelle centinaia di giovani assassinati nelle periferie dai «nostri» poliziotti (di tutte le confessioni, gli sbirri!) pagati con le «nostre» tasse. Se ricorro agli arnesi del sociologo, capisco perché per dei piccoli borghesi bianchi sia immediatamente più facile identificarsi con un famoso disegnatore, intellettuale e bianco, che con un figlio di immigrati operai del Maghreb. Comprendere non è giustificare né aderire.
Non sono Charlie, perché rifiuto di «manifestare» su ingiunzione del locatario dell’Eliseo insieme a politicanti, sbirri e militanti di estrema destra. Non parlo a vanvera: una conoscente mi ha spiegato che sul suo posto di lavoro, sono i militanti cattolici omofobi della cosiddetta «Manifestazione per tutti» ad impegnarsi nell’organizzazione di un minuto di silenzio per la redazione di Charlie Hebdo.
Non sono Charlie, perché rifiuto di piangere sui cadaveri di Charlie Hebdo con un François Hollande che ha appena annunciato che l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes sarà costruito, cioè che ci saranno altri feriti gravi con proiettili di gomma, e probabilmente altri Rémi Fraisse.
Non sono Charlie, perché sono visceralmente — e culturalmente — ostile ad ogni sorta di «Sacra Unità». Anche i giornalisti più stupidi di Le Monde hanno capito che proprio di questo si tratta; si chiedono soltanto quanto tempo potrà durare questa «unità». «Radunarsi» dietro François Hollande contro la «barbarie islamista» non è meno stupido che fare la sacra unità contro la «barbarie tedesca» nel 1914. Anche alcuni anarchici si erano fatti coinvolgere all’epoca; basta così, abbiamo già dato!
Non sono Charlie, perché il «raduno» è la definizione neo-liberale della collaborazione di classe. Alcuni di voi forse immaginano che non esistano più classi e ancor meno lotta fra le stesse. Se siete padroni o capi di qualcosa (ufficio, laboratorio…), è normale che lo pretendiate (e ancora! ci sono delle eccezioni) o che possiate crederlo. Se siete operai e operaie costretti a mansioni tecniche, o disoccupati e disoccupate, vi consiglio di informarvi.
Non sono Charlie, perché pur condividendo la pena dei parenti delle persone assassinate, non mi riconosco in alcun modo in ciò che era diventato, ormai da alcune decine d’anni, il giornale Charlie Hebdo. Dopo aver cominciato come foglio anarchicheggiante, questo giornale si era rivoltato — soprattutto sotto la direzione di Philippe Val — contro il suo pubblico degli inizi. Restava anticlericale. Questo conta? Sì. È sufficiente? Certamente no. Apprendo che Houellebecq e Bernard Maris erano legati da grande amicizia, e che il primo ha «sospeso» la promozione del suo libro Sottomissione (cosa che non gli costerà nulla) in omaggio al secondo. Ciò dimostra che, anche nelle peggiori situazioni, c’è la possibilità di farsi una risata.
Non sono Charlie, perché sono un militante rivoluzionario che cerca di tenersi al corrente dell’andamento del mondo capitalista in cui vive. Di conseguenza non ignoro che il paese da cui provengo è in guerra, certo in «scenari operativi» lontani e mutevoli. Poiché dappertutto nel mondo e perfino nel mio quartiere, alcuni nemici della Francia possono considerarmi, nel peggiore dei modi, loro nemico. Cosa che a volte è vera, e a volte no. Almeno, sapendo che la Francia è in guerra, non provo lo stesso stupore di tanti Charlie nell’apprendere che un atto di guerra è stato commesso in piena Parigi contro umoristi irrispettosi verso le religioni.
Non sono Charlie, perché in mancanza di precisazione e per il fatto stesso dell’anonimato generato dalla formulazione «Io sono Charlie», questa dichiarazione s’intende necessariamente, e al di là delle posizioni magari differenti dell’uno o dell’altro, come un’unanimità «antiterrorista». In altre parole: come un plebiscito dell’apparato legislativo chiamato «antiterrorista», strumento di quella che definisco terrorizzazione democratica.
Non sono Charlie. Sono Claude. Rivoluzionario anarchico, anticapitalista, partigiano del progetto comunista libertario, nemico mortale di tutti i monoteismi — ma faccio sacrifici ad Afrodite! — e di qualsiasi Stato. Questo basta a fare di me un bersaglio per i fanatici religiosi e per gli sbirri (ho pagato per saperlo).
Sono disposto a discutere con coloro per cui l’eccidio di Charlie Hebdo è uno degli orrori di questo mondo, ai quali è inutile aggiungere ulteriore confusione sotto forma di emozione gregaria.

Claude Guillon

[9/1/15]
https://lignesdeforce.wordpress.com/2015/01/09/vous-faites-erreur-je-ne-suis-pas-charlie/
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