A.C.A.B.?

Colpevole una serata pigra, un hard disk pieno di libri pesantissimi e film in lingue straniere (a cominciare da Hotel Rwanda, che chissà se avrò mai il coraggio di guardare) e il fatto che fosse in versione completa su Youtube (chissà per quanto ancora) anche io ho visto A.C.A.B., film di Stefano Sollima uscito qualche mese fa e che ovviamente mi sono persa.

Cominciamo dalla pars construens: A.C.A.B. è un bel film. Nel senso estetico del termine. O forse, è un bel telefilm, di quelli americani con le guardie per protagoniste (“ce fanno i telefilm pe facceli sta simpatici“). I colori scuri, la musica, sono quelli e non mi dispiacciono. E tutto sommato questo è positivo, visto che spesso i film italiani hanno bisogno di una certa cura per la fotografia. Anche la colonna sonora non è male, ancora una volta forse troppo tele e poco film, insomma si vede da dove viene il regista.

Ma la pars destruens è un bel problema. I personaggi solo abbozzati e lo sviluppo della trama in maniera da fare l’occhiolino a destra, a sinistra, al centro, scontenta in realtà tutti, eccetto i qualunquisti. Giustizieri mascherati legati solo da un vincolo di fraternità, perché un celerino da solo non è niente, si trovano a pararsi il culo in diverse situazioni fino a portare il nuovo arrivato a “fare l’infame” denunciandoli per il pestaggio architettato per vendicare il comandante che si era preso una coltellata allo stadio.

L’obiettivo non si capisce bene, ma di sicuro dà fastidio il parallelo tra il ricordo della Diaz (la più grande cazzata che abbiano fatto, con le parole del comandante) con il finale in cui si pagano i conti in piazza, per l’appunto, Diaz, dove lasciamo gli antieroi aspettare selvaggi ultras incazzati neri per la morte di Gabriele Sandri. Dà anche fastidio il problema del razzismo, perché se i personaggi paiono amichevoli o innamorati di persone nere (salvo poi menare la ex moglie in impeto di gelosia per averla trovata a parlare con un collega), con rom e persone dall’est europeo è tutta un’altra storia.

Insomma, il film è confuso, e la rappresentazione di questi poveri diavoli non convince. Così come non convince la “mela non marcia”, il ragazzo che per fuggire a un destino di povertà e delinquenza si fa guardia per fare un lavoro onesto, per altro nel “reparto mobile”.

Insomma, molto il fastidio e mi trovo comunque in gran parte d’accordo con questa recensione.

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