E so (quasi) trenta!

Quest’anno il Forte Prenestino, uno dei posti occupati più belli del mondo, compirà i 30 anni di occupazione. Più info le trovate qui, soprattutto, trovate le info sul libro che racconterà alcune di quelle esperienze.

Io ho scritto due righe, che chissà se piaceranno mai a qualcun, e che condivido qua prevenendo l’eventuale disgusto e conseguente scarto per il libro.

LA PRIMA VOLTA.

La cosa che mejo me ricordo quando penso ar forte è ancora, dopo tanti anni, la prima volta che ce so stata.
Che non ce sono mica stata per una festa o un concerto punk. Manco ce so stata pe la festa de la semina o quella del non lavoro.
No, ce so stata per un fattaccio brutto brutto, quello de quanno entrarono i fasci e le lamate e il sangue. Che ce stava dentro Bernardo e per poco non ce stava più su questo mondo. Io poi a lui mica lo conoscevo, venivo dalla periferia fuori dal GRA e senza motorino se vedeva poco der resto de roma. Pure se già annavo un po’ in giro, magari pe le assemblee degli studenti, e me ricordo ste traversate co tre autobus fino a Roma Nord che per me era quasi andare in un altro mondo. Ma questa è n’altra storia.
Insomma, tornamo ar fattaccio. Quell’anno non era per niente n’anno simpatico, me ricordo io. Era il 2005 e poco prima c’era stata la bomba all’Astra.
Per me che m’affacciavo timidamente ar mondo della politica de movimento a Roma, quer mondo che ora sento famiglia e che come tale spesso me fa incazzà, gli appuntamenti antifascisti erano importanti. Me sentivo come un dovere de annà a certe cose, ma se ve dovessi dire la verità, oggi come ieri, non ce capisco mica un cazzo de quello che succede attorno a me.
E infatti ecchime davanti al forte, io e tre altre squinternate
tenere, ingenue e fricchettone,
che me sa che non s’aspettavamo de vede er primo bastone.
Che non c’avevamo capito un cazzo se vedeva dallo sguardo sperso e da come ce guardavano quelli der forte. D’altra parte n’è che semo sempre chiari su quello che scrivemo, e pure giustamente, ma se nun lo conosci il modo de fare te ritrovi un po’ spiazzata.
E allora c’eravamo noi tre e il pratino. E alla fine finì a chiacchiere e sconcerto, mentre c’era chi era venuto pe uscì e uscì e io mica lo so che ce successe intorno e manco come so tornata indietro tutta tranquilla sur tram. Eravamo giovani ma manco troppo e ingenue invece proprio tanto.
Poi ci furono tanti progetti, e il perdersi con quelle là, ma er forte non l’ho perso mai, anche se ogni tanto, come per tutti gli altri componenti daa famiglia, un po’ me fa incazzà.
Ci furono le feste e i concerti punk e le sottoscrizioni, e le iniziative, le cene, la boxe, il terra/terra.
Rotolarsi ner fango per il troppo vino dell’enoteca, perdere gli occhiali e ritrovalli.
Le riunioni antifasciste e quelle in solidarietà con l’Abruzzo terremotato.
I baci dati e ricevuti.  Alcuni amari pentimenti per alcuni di quelli che ho dato.
Far venire la sindrome di Stendhal colle esposizioni di crack agli amici stranieri. E per crack intendo i fumetti, non ve pensate male.
Perdere saluti, incontrare persone lontane, a volte solo fisicamente, a volte in tutti i sensi.
Rimane un pezzo de core, tra un murales di blu, alcuni concerti ben fatti e molte serate da terzo tempo dopo allenamento.
Ah, a Bernardo poi l’ho conosciuto. Ma come se usa a Roma, mica se salutamo.

N.B. a Roma non si usa manco presentasse, e tante altre cose. O forse è nel movimento romano. Boh.

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