Ciao, c.

Piccola palla di pelo ormai raccolto nei dread che la trascuratezza della tua vecchiaia ti avevano formato,

sei arrivata da noi miagolando forte, miagolando hai fatto tutti e sei i piani di scale che ti separavano da casa nostra, mentre papà ti chiamava con il nome che sarebbe stato tuo per tutti questi 16 anni insieme.

Hai acchiappato piccioni e gechi (ma proprio con quelli che mangiano le zanzare te la dovevi prendere?) e lucertole,

hai menato forte il gatto dei vicini, arrampicandoti fino al piano di sopra con un certo intrepido coraggio (chissà che t’aveva detto tra un miagolio e l’altro dall’alto della finestra da cui sei passata),

all’inizio ti appollaiavi sulla gabbia del criceto Silvestro, che probabilmente ti guardava con un po’ di apprensione.

Piano piano sei invecchiata, sei rimasta sempre bella e fin quasi all’ultimo non ti sei negata salti e sole in terrazza. Certo non ti sono mancate le coccole, né le grandi battaglie con i nostri piedi sotto le coperte.

Chissà quale era stata la tua vita precedente, nei due anni in cui non ti avevamo ancora conosciuta. Chissà quante vite hai vissuto e se ne vivrai altre, dicono che i gatti ne abbiano sette.

Ora non potrò più coccolarti, né farai le fusa per me.

Ma ti abbiamo voluto bene,

che il vento ti disperda dolcemente e che i tuoi miagolii fischino in esso.

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